Les fleurs du mal: Fatti di umani, racconti in cui non succede niente

Quante volte ci siamo chiesti come possa essere la nostra esistenza straordinaria?

a cura di Barbara Anderson

Siamo, di fatto, persone comuni, normali, con le nostre sfaccettature, le sfumature fatte di pregi e difetti, di caratteristiche peculiari, individuali che ci rendono diversi dagli altri, altri con cui vorremmo entrare in connessione, avere dei rapporti, dei legami, necessità del fit in, sentirsi parte di qualcosa, di qualcuno, l’accettazione da parte degli altri che ci vedano per come siamo e che ci vogliano bene proprio per questo senza presunzione alcuna di modificarci, di plasmarci alla loro idea del perfetto noi.

Nessuno è perfetto, siamo tutti creature comuni, di fatto ordinari, di fatto umani.

E di cosa parla questo romanzo di questa simpaticissima e talentuosa autrice che utilizza l’ironia per mostrarci il vero volto dell’ordinario in tutta la sua straordinaria bellezza?

Appunto di fatti di umani, cose semplici che appartengono alla quotidianità dell’ordinario, mostrandoci gli stereotipi della razza umana, quelli che tutti conosciamo, quelli che di fatto siamo anche noi, quelli di cui tutti sanno ma che raramente vengono raccontati all’interno di un romanzo.

Elisa Roversa lo fa e lo fa con acuta intelligenza, con classe, eleganza ma soprattutto con immensa ironia.

Lo avrete notato tutti, oggi vivere e trovare la nostra identità è sempre più complesso, tendiamo a confrontarci con gli altri, quelli che sono gli auto rispecchiamenti; trovare i nostri simili, riconoscersi e di fatto sentirsi dalla parte del giusto, di ciò che ci si aspetta dalla nostra categoria.

Viviamo il quotidiano seguendo dei ritmi preimpostati, predefiniti come se stessimo seguendo un manuale e in questo modo ci allontaniamo di fatto dalla quotidianità che diviene la necessità di dover fare determinate cose, di dover dire determinate cose, di dover agire in un determinato modo.

Siamo schiavi delle abitudini, dei pregiudizi, dei preconcetti, sembriamo pre confezionati, avvolti in un involucro di aspettative altrui.

Avere consapevolezza e coscienza della nostra quotidianità, aderirvi proprio per prevaricarla.

Ed ecco che arriva il genio di questa autrice che con originalità, audacia, ma anche con una naturalezza incredibile ci propone questa serie di racconti favolosi, semplici, di gente semplice, di vite semplici, imperfette, di disagi, di atteggiamenti in cui riconosceremo le persone a noi vicine, in alcuni ritroveremo perfino noi stessi, uno dei suoi personaggi siete senz’altro voi. Uno di questi sono proprio io.

Perché le cose, le persone sono come sono e l’ordinario diventa straordinario, basta solo guardare il tutto sotto una nuova luce, nuove prospettive e quella che ci offre Elisa Rovesta è una luce che non abbaglia ma che rivela.

Ma quanto sono veri e belli i suoi personaggi?

Gli stereotipi, ma che cosa è lo stereotipo?

Un’opinione precostituita su persone o categorie che esula dalla valutazione individuale del singolo caso ed è frutto di un antecedente processo di ipergeneralizzazione e ipersemplificazione, quindi il prodotto di una falsa operazione deduttiva (Treccani)

Lo stereotipo appare impersonale, convenzionale, conformistico ma di fatto è nel suo genere unico.

Fu proprio nel 1920 che Walter Lippmann nello studio sui pregiudizi definisce gli stereotipi come elaborazioni da parte di personalità autoritarie per standardizzare opinioni, percezioni di persone e situazioni.

Ma discriminare le persone in conseguenza di stereotipi le rende fragili, vulnerabili, ma non in questo caso perché Elisa queste persone le rende uniche, fantastiche, straordinarie e allora comincio a sentirmi straordinaria un pochino anche io che sono come loro, che appartengo a una delle loro categorie. E non sono diversa dalla perfezione, ma faccio parte dell’imperfetta meraviglia dell’essere umano.

La prosa di questi racconti è frizzante, immediata, incantevolmente divertente e delicata, ci mostra la gente per quello che è senza critica ma con naturale bellezza, una caricatura divertente che è di fatto il ritratto di una realtà sociale nel contesto della nostra quotidianità.

È puro incanto.

Uno a uno incontriamo i nostri personaggi che non hanno un nome ma uno stereotipo che li identifica per quello che sono in tutto il loro splendore.

L’amante dello spugnato giallo poiché anche il colore di una parete in una casa disegna i lineamenti di una personalità; nelle premeditazioni delle intenzioni l’amante dello spugnato giallo pregusta già l’effetto di quel colore sulla sua parte come un sommelier che degusta e decanta un buon vino.

Il manager che conosce le soft skills, che fa il briefing, che conosce il marketing, il team work, i meeting, colui che conosce il framework, l’Excel, il Microsoft e il brunch, l’inclusion, la diversity, il mainstream.

L’architetto che conosce Palladio, colui che tu paghi per farti fare un lavoro che lui farà completamente opposto alle tue richieste perché tu non sai cosa vuoi, lui è esperto e sa; per cui tu paghi e lui ti fa il favore di darti il suo servizio professionale.

Perché si sa che Less is more!

Minimalismo, essenzialità. Open plan… la neutralità del bianco.

La tovaglia cerata con i fiori opachi che è un vanto, un must, qualcosa da sfoggiare con orgoglio.

Scorci di esistenze, sensazioni vivide descritte con una percezione fisica, poiché quelle sensazioni, quelle personalità, le senti, le vedi e le vivi come se fossero proprio qui davanti a noi ora. Le conosciamo e le riconosciamo.

C’è un qualcosa così fortemente di appartenenza e di casa nel racconto della tovaglia cerata, ho sentito proprio quella carezza di quel vento che smuove le tende della finestra.

E chi non ha avuto un amore tossichino? Quelle relazioni di coppia in cui ci si ama a vicenda ma non ci si sopporta a vicenda, l’uno vorrebbe cambiare l’altro in una lotta perenne e continua che porta all’autodistruzione della relazione ma anche al rimpianto e al rimorso di quell’amore senza mai pace. L’amore non è trasformazione ma accettazione e qui ho fluttuato verso la ricerca dell’amore impossibile secondo John Keats, divagando fuori dal testo per ricercare pensieri e concetti in grado di espandere l’argomento così delicato e così vero.

Perché chi non ha amato qualcuno sperando che fosse un pochino diverso?

Poi c’è il nutrizionista incazzato che ho adorato perché è vero lui non ti chiede cosa mangi perché lui lo sa! Giuro sono morta dalle risate perché quei dettagli e quelle caratteristiche del nutrizionista le ho incontrate mille mila volte.

Cos’è questa se non una caricatura divertente di una realtà a volte perfino inquietante?

Ma siamo davvero così? Sì lo siamo e siamo stupendamente veri, a volte prevedibili, forse anche scontati ma allo stesso tempo straordinariamente meravigliosi.

La single che sta bene così, che però non sta bene alla famiglia perché come si fa a stare bene da soli? Devi pentirti, non puoi permetterti di ammettere davanti ai tuoi parenti che sei felice da sola, è un anatema, una vergogna quasi un disonore, ma tu ne vai fiera e a testa alta rispondi e fai spallucce sotto gli occhi indignati di chi dovrebbe essere felice che tu sia felice così.

Il praticamente è finito, anche lui, quello che appartiene all’amore teorico,in teoria è finito, ma di fatto stiamo ancora insieme per i figli, per la casa, per abitudine, per affetto, ma siamo alla fine, praticamente è già finita ma non finirà mai.

Poi c’è la bellezza interiore, è importante e anche questo racconto wow che profondità e che spettacolo nella sua semplice verità, la ragazza che era stata tutto ciò che doveva per essere vista, mi ha toccato veramente con la sua storia. Lei che sa quanto la vera bellezza sia la bellezza dei gesti, delle parole, dei sentimenti ma che ha voglia di vedersi bella allo specchio perché il bella dentro non è abbastanza, non per lei, non per la società in cui viviamo che vede solo l’involucro esterno, non nella quotidianità del perfetto e che male c’è a desiderare di piacersi?

L’infleuner o aspirante tale è un must, lo troviamo ovunque e Elisa ce lo descrive divinamente così come il Cubista per un giorno, in questo racconto ero in lacrime dalle risate perché io quel cubista da ragazza l’ho incontrato talmente tante volte che l’ho subito riconosciuto in quei tratti tipici standardizzabili che l’autrice con simpatia ci mostra.

Ma cosa accomuna ognuna di queste storie? Indubbiamente lo spirito di gruppo, il concetto di accettazione delle differenze, il piacere dello stare insieme, di volersi bene mentre accadono i fatti, quelli di umani. Quante volte pensiamo di conoscere e riconoscere le persone che abbiamo davanti e poi scopriamo di non conoscerle affatto?

Presumere che qualcuno sia come pensiamo che sia è un grave errore, bisogna lasciare il tempo e il modo alle persone di rivelarsi; di mostrarsi con fierezza e con coraggio, senza paura del giudizio e il filo conduttore di queste storie è un filo sottile, stupendo, che si dirama come un piccolo vaso sanguigno che irrora di vitale energia il corso delle loro esistenze.

Dei racconti che sono puro piacere letterario e genio creativo, brillanti, che ci insegnano a vedere il bello della normalità e ad apprezzare l’eccezionalità delle persone.

Ritornando all’architetto che conosce Palladio che dice less is more… io vi posso dire che storie di questo calibro letterario, pure, semplici, candidamente vere: if less is more nothing is everything e aggiungo personalmente I just can not get enough di storie belle e pulite come queste.

Grazie infinite per aver dato voce e luce a una realtà che ci avvolge e la cui bellezza delle creature ci appartiene, come lo specchio di un’umanità che non potrà mai deludere.

Particolarmente bello e godibile, un piacere per il cuore e per l’anima.

Sono maschere della nostra società moderna dove dietro si nascondono volti di semplicità perché di fatto non c’è nulla di più bello, onesto ed essenziale.

Elisa Rovesta ha trovato le parole giuste per descrivere la nostra società e usa parole semplici di una bellezza devastante.

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