Lei è bella, intelligente, corteggiata. Lui è altrettanto bello, intelligente (purtroppo), corteggiato (purtroppo).
Lui le scrive, una notte mentre lei è fuori con gli amici. Lei non ci crede, esclama tra sé e sé: “Oh mio Dio, non posso crederci”. È esultante, è stupita, pensa addirittura che lui sia troppo per lei. Si conoscono di vista, hanno amici in comune, frequentano gli stessi locali e per lei è sempre stato una specie di idolo; diventa timida ogni volta che le capita di incrociarlo. Eppure, inaspettatamente, lui si fa dare il numero di telefono da un amico e una notte come tante le scrive. Anche a lui è sempre piaciuta, ma nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di dichiararsi.
«Ci vediamo?» chiede lui un po’ impacciato.
Lei prontamente risponde: «Sì».
Appena accetta di incontrarlo, lui riaccende la macchina per raggiungere il luogo concordato. Stava guidando per tornare a casa dopo una serata in un locale e aveva accostato proprio per scriverle. Dovrà percorrere solo pochi chilometri per vederla, ma li percorre lentamente dandole il tempo per arrivare e non lasciarla ad aspettare (l’unico gesto carino di tutta la storia che verrà).
Lei invece era seduta insieme ai suoi amici in un parco quando ha ricevuto il messaggio. Stavano ridendo e scherzando tutti insieme; subito dopo aver risposto si alza, prende la borsa, saluta tutti frettolosamente, dice all’amica: «Ci sentiamo domani, devo proprio andare».
È un’afosa notte estiva e gli amici continueranno la serata senza sapere che lei ha appena detto un “sì” che probabilmente si porterà dentro per sempre.
Sale in macchina, ha con sé sempre il suo profumo e non manca certo di spruzzarselo fino quasi a finirlo; controlla spedita anche la frangia nello specchietto retrovisore e si sistema i capelli con le mani, maledicendo l’umidità notturna che li ha resi, secondo lei, più gonfi. Mentre accende l’auto, con una mano rovista nella borsetta appoggiata sul sedile di fianco e cerca il rossetto; le serve qualche istante per trovarlo e lei non ha tempo, perché deve correre da lui, deve trovarlo alla svelta quel rossetto, santo Dio. Eccolo, lo ha afferrato, lo mette subito sulle labbra e nel frattempo continua a specchiarsi, mentre si allaccia la cintura, e insieme accende una sigaretta, e insieme, perché no, ancora qualche spruzzo di profumo.
Si incontrano poco dopo in un parcheggio comune, senza nulla di particolare, ma conosciuto da entrambi e comodo da raggiungere. Lui è davanti alla sua auto in piedi, la sta aspettando. Lei si ferma piuttosto vicino, scende; lui resta immobile e la guarda, lei gli sorride e cammina fino ad arrivargli di fronte. Si vedono, si salutano e… inizia senza che ancora ne siano consapevoli “l’amore tossichino”.
“Tossichino” perché, anche se fa male, non è una forma di amore patologico tale da considerarlo tossico, ancor meno un amore violento. È la storia di due persone normali che fondamentalmente si stanno sulle palle, ma vogliono cambiarsi a vicenda e danno vita a un gioco delle parti dove entrambi vogliono vincere. La vittoria consiste nel piacere all’atro così tanto da cambiarlo. Nasce quindi un legame profondo nonostante i loro mille difetti reali, o almeno percepiti tali.
Nemmeno nella prima fase l’amore tossichino prevede un periodo pieno di idilli e romanticismi: lui o lei, o entrambi, sono già combattuti. Nessuno dei due ha la benché minima intenzione di mostrarsi debole, dichiarando il bisogno di stare con l’altro, ancor meno parlando sinceramente dei loro sentimenti. No, l’altro/a viene immediatamente etichettato/a come “solo un/un’egoista” (la definizione deve prevedere per forza “solo” davanti alla parola “egoista”). Egoista perché fin da subito non ha dato tempestiva pro- va di aver capito quali fossero i reali bisogni dell’altro, nonostante quei tre miseri segnali che erano stati mandati.
Spesso, questi indizi consistono in una incomprensibile parola detta sottovoce, oppure in un sospiro o in un invito poco chiaro. Di fronte a questa poca chiarezza l’altro risponde apposta con altrettanta enigmaticità, ad esempio battendo le ciglia di un occhio… Come si fa a non capire un tale segnale? Mi pare così chiaro, no?
Si sfidano continuamente, con la speranza di indurre l’altro a dare prova del proprio amore superando questa prova benedetta. Che cosa si debba fare di preciso per superarla non si sa, bisogna capirlo appunto da soli. E bisogna oltretutto sperare che lei o lui, nel frattempo, non abbia cambiato idea, e quindi anche il tipo di sfida.
I due però in qualche modo si vogliono bene e vorrebbero trascorrere momenti felici, ma l’amore tossichino non prevede pace. Prevede al massimo tregue, che comunque sono brevi, e con il passare del tempo diventano sempre più brevi. Nell’amore tossichino non esistono nemmeno tattiche o strategie che possano portare l’altro a dare questa agognata prova d’amore che ci si aspetta. Nessuna azione o parola sono mai sufficienti.
Non è sufficiente, ad esempio, farsi duecento peeling al giorno, utilizzare sempre il profumo del primo incontro, che a lui era piaciuto tanto, per cercare di essere bellissima e speciale ai suoi occhi. Non è sufficiente per lui cercarla e ammirarla, ad esempio regalandole fiori, interessandosi al suo stato emotivo nel modo in cui vorrebbe lei, o che almeno ritiene, il più delle volte erroneamente, essere il modo voluto da lei.
Non basta trasformarsi momentaneamente in tutto ciò che l’altro vorrebbe, anche questo non serve davvero a nulla. Non accettano che l’altro sia com’è; l’espressione ricorrente è: «Come puoi non capire che devi cambiare?»
Essere se stessi in questo tipo di rapporto rende in automatico stronzi. Sì, solo per il fatto di deludere quella precisa aspettativa di voler stare con una persona diversa, ma che non può essere un’altra persona fisica, deve essere proprio lui o lei.
Allora ci provano e riprovano a mandare avanti questa relazione. E lo fanno a suon di accuse, con frasi anche un po’ plateali come: «Mi hai fatto tutto il male del mondo, non te lo potrò mai perdonare», e magari lo si dice solo perché l’altro ha incolpevolmente tardato a rispondere a una chiamata. Lei potrebbe fingersi distante, inventare attività interessanti da fare senza lui, e lui potrebbe sinceramente mostrarsi indifferente a tutto questo.
Proseguono la loro relazione utilizzando brevi e goffe tecniche di ghosting, con lo scopo di vedere quanto l’altro resiste prima di strisciare e implorare un ritorno. Ma nessuno dei due striscia, e se lo fa è una trappola. Dopo poco il rapporto si riallaccia, di solito basta un semplice e sintetico «Come stai?» e si ricomincia. In casi estremi invece il rapporto si riallaccia.
in modo più faticoso. Ad esempio, lei gli scrive accusandolo di tutto e poi spegne il telefono per qualche ora o qualche giorno. Quando lo riaccende trova le chiamate ma non richiama, almeno non fino a quando non sarà cambiato veramente. Lui magari è tranquillo nel pensare che le passerà e quindi non insiste oltre nel cercarla, ma gli dispiace e anche a lei dispiace. Chiuderla senza essersi cambiati a vicenda rappresenta inoltre una forma di resa. Devono quindi trovarlo un motivo o una scusa per risentirsi. E si risentiranno ancora, oh se si risentiranno.
Mantengono viva questa relazione a forza di dispetti che si fanno l’uno con l’altra e che si fanno anche da soli, sì, a loro stessi.
Nonostante tutto, “in fondo”, si vogliono bene, talmente in fondo che nessuno dei due riesce a capire quale sia il punto di risalita, e come si possa ricostruire qualcosa di vero su tutte quelle macerie.
Sono come gli amanti dell’urna greca, si rincorrono senza mai potersi incontrare. John Keats lo aveva descritto così bene e in modo così poetico l’amore impossibile, solo che ora che ci sono i cellulari, e sai quali battaglie si possono scatenare?!
Nella giostra dell’amore tossichino capita a volte che uno dei due partecipanti resti a terra stremato, distrutto dai suoi stessi tentativi inutili di cambiare l’altro e di sentirsi così finalmente amato. Ma poi si rialza, anche indebolito (solo momentaneamente), e continua a combattere la sua battaglia.
Già, si rialza perché pensa: “Lui\lei è esattamente ciò che voglio, solo che vorrei fosse diverso/a”.
Questa danza, più simile a una capoeira che a un valzer, prende talmente la mano che può durare mesi o anni, nei quali l’unico punto di accordo è che entrambi sostengono che l’altro non sia ciò che vogliono.
Poi però, in fondo, si vogliono bene. Ed è per questo che nonostante la fatica e la delusione di non essersi cambiati a vicenda chiudono questa relazione. Si mancheranno e saranno increduli quando proveranno questa sensazione. Proveranno a cercarsi, ma uno dei due ovviamente non si farà trovare. L’altro capirà che questo atteggiamento è ancora uno strascico del loro amore tossichino. Ognuno dei due ricorderà l’altro, e forse, da lontano, si ameranno proprio per ciò che non sono stati.
Tratto da “Fatti di Umani” di Elisa Rovesta
NFC Edizioni