Corriere Romagna: Gli Umanistili di Elisa Rovesta
Sa il cielo quanto il mondo, soprattutto oggi, abbia bisogno di intelligenza. Ma di quella vera, quella che tratta se stessa con nonchalance, con leggerezza, e ironia, autoironia, brio, spirito, humour.
di Gabriello Milantoni
Quella scintillante intelligenza che affina lo sguardo sulle innumerevoli seriosità fuori luogo e le altrettanto fuori luogo stupidaggini, cliché cui in tanti cadono uniformandosi a comportamenti, idee, mentalità decise da altri e imposte con ogni mezzo come se fossero l’unico modo per potersi definire up-to date o, peggio, politically correct, assillo dell’attualismo, moda smodata dell’ultima moda alla come-viene-viene, senza star là tanto a riflettere se sia roba cretina oppure no. Per non parlare dell’ultimissimo strillo, quella “cancel culture” per cui “com’è bello Omero”, affermi, e vieni radiato all’istante da tutte le università dell’impero transatlantico, progressista e transgenetico protagonista del non brillantissimo andazzo dell’ultim’ora.
L’intelligenza, quella vera, è sempre anarchica, sempre libera, sempre svincolata da riti e miti fabbricati a bella posta per rinchiuderti in un classificatore e guai a uscirne, lasciando tracce non tracciabili e perciò ritenute pericolose e nemiche del buon andamento delle società-galera.
L’intelligenza è libertà, aria, volo, l’unica dote che permetta di capirci qualcosa nelle nostre vite di quaggiù, groviglio di attitudini le più disparate che come unico scopo ha quello di aggrovigliarsi sempre di più, ammatassando fili e fili d’un unico spento colore che però credono d’essere multicolor perché non sanno vedersi, non vogliono vedersi, eclissando la realtà e il suo principio, e dunque negando di essere un gomitolo senza capi né code e tutto uguale nella grigia sostanza inerte e ottusa. Un bluff universale che, non da oggi, ha precipitato buona parte del pianeta Terra in un insolubile sconquasso da bancarotta fraudolenta, dove superstite è solo uno sparuto drappello di happy few che, per essere intelligente, sa, e, dunque, vede, e ha tutte le carte in ordine per non permettere a nessuno di condizionarne la limpida essenza di prisma luminoso e cristallino a riflettere incessantemente vita vera e prelibato gusto dell’esistere.
Per gran fortuna, ecco la prova che lassù qualcuno ci ama, nonostante tutto: e ha deciso di inviarci una cima cui assicurare il nostro barchino per resistere agli schianti di marosi spesso poco gentili, anzi, a dir la verità, perfettamente ineducati, che ci vorrebbero far fuori su due piedi e senza tanti complimenti.
Questa cima di salvezza ha un nome, anzi, un titolo, perché è un libro: Umanistili e Una ballerina sulla luna. Racconti in cui succede un po’ più di niente, e chi l’ha realizzata è Elisa Rovesta, scrittrice che nelle edizioni NFC di Amedeo Bartolini in Rimini ha trovato la forma ideale e impeccabile per dar corpo tangibile a ciò che tangibile non è, cioè l’idea, cioè la scrittura. Ed è un libro dalla copertina rosa, grigio di perla la sovracoperta, bianche le scritte: chic, garbo, discrezione; in una parola: eleganza.
E già dall’incipit ben si capisce quanta e quale scintillante intelligenza, quanta e quale libertà intellettiva e culturale imbevano ogni rigo offerto alla lettura. A chi apra uno scritto componendo un endecasillabo sarebbe obbligatorio attribuire subito il primo premio per lo stile: “Non sono rimaste molte occasioni […]”: perché l’endecasillabo è, tra i metri della lingua italiana, quello che più corrisponde al respiro umano e alla sua verità.
Ecco allora sedici brevi racconti e una novella in sedici movimenti che, festa dell’intelligenza, con grazia, con finezza, con vaporosa o pungente ironia, ruotano tutti attorno al filo sottile che collega la maggior parte degli umani in modo più o meno dichiarato, più o meno segreto, più o meno inespresso: quella latente infelicità che nelle nostre opulente e emancipate società d’Occidente è stata e continua a essere il primo fenomeno “global” in assoluto: perdita di sé e conseguenti disagi per ritrovarsi, per riarmonizzare il sé al sé e al resto del mondo.
Con humour affettuoso e delicata, amicale contiguità, Elisa Rovesta osserva alcuni tipi umani nei quali tutti i giorni ci si può imbattere al solo camminare per strada. E descrive comportamenti, mentalità, convinzioni e disagi di personaggi che i titoli dei brani riassumono con folgorante verità: “No, ma io il cane non lo umanizzo”, a esempio, oppure “Il piccolo eroe. L’uomo che ti dà appuntamenti veri”, o anche “No, perché uno si stanca pure. E Andrea si è stancato”. E così via.
Dove però l’autentico protagonista che tiene insieme tutte le pagine sospingendole alle luci dei prosceni è lo stile, è la letteratura, è la scelta dei termini, dei ritmi, e sfumature, mezzetinte, accenni graffianti, toni discorsivi e riflessivi, fluidi e sghembi, intimizzanti e mondani, in incessanti sequenze di tempi, di timbri, di colori che sono il più vero ritratto di quella realtà visibile che tuttavia resterà invisibile finché non giunga l’arte, non giunga la letteratura a darle forma tangibile e evidente, a donarle vita. E pagina dopo pagina si approda all’incontro con una ballerina sulla luna e ai suoi dialoghi notturni con una giovane “donna con la tuta felpata”, che sta alla finestra di casa sua e parla con lei che sta lassù. Realtà anch’essa, umanissimo mistero interiore: perché quella ballerina altro non è che l’anima della “donna con la tuta felpata” che di notte, nella luna, in sortilegio di fiaba, riflette e proietta se stessa, nell’incanto di serene rivelazioni.
“La vita o è stile o è errore”, si legge in un celebre incipit di Giovanni Arpino. E la vita di Elisa Rovesta, quella vita letteraria, vita dell’arte del dire, è stile in sé, e dunque mai potrà essere errore e sempre sarà vita, umana vita, “umanostile”, per ciascuno di noi.
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