Leggerezza, pesantezza o un like

Leggerezza o pesantezza? Quale dei due aggettivi ci tiene più in pugno? Non c’è dubbio che a volte abbiamo uno stato d’animo più propenso alla leggerezza, ma in altre situazioni ci fa piacere affrontare anche la pesantezza, senza trascurare l’idea che può benissimo esserci qualcosa di leggero o pesante ed essere in entrambi i casi serissimo. 

Insomma, a volte si potrebbe aver voglia di ridere, altre di piangere. In altri casi si può aver solo voglia di pensare ad altro, ma la leggerezza o la pesantezza sono lì che ti aspettano e prima o poi arriveranno.

In tal caso diventa difficile decidere di guardare il film “Barbie” della regista Greta Gerwig, che tratta temi importanti da un punto di vista femminile ma ancora di più della società, attraverso una chiave ironica. Allo stesso modo, può diventare difficile parlare del film “Oppenheimer” di Christopher Nolan…lì si che c’è da impegnarsi per rimanere concentrati, fin dall’inizio. 

Quindi Leggerezza-Pesantezza: dipende dai gusti delle persone, dal bisogno di quel momento di ciascuno di noi: ridere non toglie serietà all’argomento, così come piangere non evita il rischio, a volte, del ridicolo. 

Quindi, da che parte vuoi stare? E se non si sa da che parte si vuole stare allora non si può pensare che i temi trattati dalle canzoni, dai film, dai libri, spesso sono importanti nello stesso modo, ma è la chiave comunicativa che cambia, la misura della leggerezza.

La leggerezza è una cosa seria, qualcosa di profondo. Per questo Calvino nelle sue Lezioni americane l’ha individuata come l’elemento necessario per la scrittura e la comunicazione.

Oggi, tra il bisogno di leggerezza -o di pesantezza-, si pone in modo invadente il mondo autoreferenziale del Like sui social. Il Like del consenso, del riscontro che quanto comunicato ha fatto breccia, fino a quando il destinatario non ha restituito il messaggio desiderato: il mittente piace. Viene così meno il confronto in una comunicazione unilaterale che non prevede la partecipazione dell’altro, se non a titolo di spettatore chiamato a dire se gli “piace”. In altre parole, si tratta di un altro modo o mondo: comunico per avere un riscontro personale, per esprimere a me stesso qualcosa, far sapere che esisto. In altre parole ancora, comunico me stesso, per il tramite di me stesso, parlando di me stesso, mentre lo spettatore senza rendersene conto, si può trovare nella condizione di non avere più la consapevolezza di scegliere.  

La ricerca del like può portare a dimenticarsi che lo scambio, e in particolare il gesto -non egoriferito- di voler dare un messaggio che possa far riflettere, sorridere, o anche piangere, si stia diluendo sempre più nel tempo, proprio ora che ci sarebbe così bisogno di dare e di ricevere emozioni, piangendo, ridendo, insomma provando qualcosa. Ci si può ritrovare a un punto in cui tutto sembra sullo stesso piano, livellato; le canzoni tutte uguali, i libri tutti tristi o tutti ironici, in una forma di appiattimento generale. 

La scelta, quella lecita di decidere se ridere o se piangere, se ascoltare un contenuto intelligente o un contenuto più superficiale, rischia di venire meno.

Allora non si ride, non si piange, non si pensa. Tutto diventa uguale, ripetuto, ripresentato, un disco rotto che però vende. E tutto ciò è pesante e obnubila le storie leggere, che non hanno nulla da invidiare a quelle all’apparenza più complesse, solo che non lo sappiamo più. Ce ne siamo dimenticati.

Chissà, magari è solo una questione di abitudini. Perché si sa, ci si abitua a tutto (se ci si vuole abituare a tutto) anche a non vedere più nessuno in giro che abbia voglia di salutare o di parlare. Qualcuno fisso e dritto per la sua strada che è uguale a quella del giorno prima e a quella prima ancora, perché li, su quella strada, non deve prendere decisioni impellenti e chiedersi quale sia la strada giusta diventa impossibile, superfluo. 

Ci si abitua anche a uscire la sera per poi correre a casa senza dire: “Quanto mi sono divertito!” Insomma, si diventa pesanti a fare troppo le stesse cose, a vedere troppo le stesse cose, dimenticando che la leggerezza è una cosa seria.

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