E niente, quindi ti sei legato una corda al collo e sei saltato giù da quel piccolo sgabello, sul quale appoggiavi le gambe.
E tutti a chiederci cosa fosse successo, perché, perché proprio quella sera, perché proprio tu e perché così.
Tutti attoniti, tutti senza risposte, tutti con tante troppe domande e con l’unica risposta che ti sei portato via tu.
Così, te ne sei andato, e certo io lo rispetto, è una tua scelta no?
Del cazzo, ma è una scelta.
Già, perché vedi, cosa diavolo avessi in testa non è dato saperlo, certo, certo, i motivi più o meno si conoscevano, le tue difficoltà, il tuo visibile deperimento, il tuo occhio sempre più spento, e gli inutili tentativi di farti ragionare erano palesi. Esatto quei tentativi infruttuosi, che altro non hanno fatto che dare un senso di fallimento e di colpa a chi ha provato a spronarti, a dirti dai, tira fuori le palle, reagisci.
E niente, ci hai provato, ci hai provato a modo tuo, fottendoci tutti, lasciandoci tutti annientati, come corpi scaraventati a terra da un vento fortissimo e improvviso. Un vento che non escludi possa arrivare ma capisci solo dopo che era sufficiente guardare il cielo per cogliere quell’aria di tempesta e tragedia.
E allora dopo restano tante parole, quelle più ovvie, quelle più scontate, le uniche che erano rimaste…” non doveva farlo, c’erano mille modi per risolvere le cose”, “possibile che nessuno si sia accorto?”, “soffriva troppo”.
“Soffriva troppo”, ma che scoperta, mica uno si impicca per la troppa felicità, ma non c’è altro da dire che ribadire l’ovvio. Come la descrivi una cosa del genere, come lo descrivi il dolore che ti lascia. E si, non parlo della vittima del gesto, ma anche di chi resta e quel gesto lo ha subito senza poter fare nulla, con la negazione assoluta a dire anche solo aspetta un attimo, ripensaci.
Si, un attimo, solo un attimo, cosa cambia, è un attimo in più per stare con te, cosa ti importa. Questo forse sarebbe stato bello poter dire, e che quell’attimo fosse così bello da fare addirittura cambiare idea.
E niente, umana compassione per chi non c’è più giusto? e per chi resta?
No, perché così uno mica si porta via solo la sua vita, ma anche quel pezzetto di vita passata insieme a chi gli voleva bene, a chi aveva bisogno che ci fosse. Quindi poi cosa resta di quella parte di vita altrui che andando via tu è finita chissà dove.
No, perché io la rivorrei e faccio fatica ad accettare che non ci sia più, non ci sia più me con te, ma soprattutto faccio fatica ad accettare che non mi resti altro da fare che “accettare”.
Accetto che i capelli si secchino in estate, accetto che se mangio troppo poi posso non sentirmi bene, ma no, non accetto una decisione del tutto unilaterale e poi così violenta, di andartene sbattendo la porta. Si, una porta che non si riapre più.
E quindi niente, i silenzi sono rimasti silenzi, i rimpianti chi lo sa, tutto si confonde, come un insieme di colori che si sovrappongono, che non capisci più che colori siano e nemmeno sapevi che esistessero.
Allora io resto qui, si, resto qui, e mi dispiace tanto se stavi male, ma porca vacca quanto ne hai fatto anche a me. A noi. E riditela ora, ovunque tu sia, perché nonostante tutto spero tu stia ridendo, anche di me, vorrebbe dire che stai bene.